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Parabola Zen: la fortuna del monaco buddista principiante

Parabola Zen. Il racconto che propone la nostra rubrica di buddismo zen, è una storia particolare. Essa fa riflettere su un fattore incontrollabile: la fortuna. A volte essere fortunati può essere considerato una manna dal cielo, altre come un evento inaspettato, altre ancora un qualcosa di cui non ci si rende conto. Si può scrivere una letteratura sulla fortuna ma spesso accade a chi, inconsapevolmente, ne viene invaso. Appunto inconsapevolmente. La cosiddetta fortuna del principiante che, non viene colta per quello che è: un evento favorevole inaspettato.

L’accoglienza buddista nei tempi zen

In Giappone, soprattutto nell’età che ha visto il nascere il buddismo zen, esisteva un’usanza. Qualunque nomade che si trovava nei pressi di un tempio zen, poteva farne parte, essere accolto, anche per un breve periodo, a patto che vinceva un dibattito con un monaco zen e ne usciva vincitore. Vincere contro un monaco buddista aveva due significati. Il primo che ci si era meritati il rispetto del suo “avversario”. Il secondo che si era degli illuminati. 

Il monaco e la fortuna del principiante

Nella parte settentrionale del Giappone, in un tempio, abitavano due confratelli monaci. Il primo era un monaco sublime, quasi illuminato. Il secondo era piuttosto sciocco oltre che orbo ad un occhio. Un giorno, arrivò nel tempio un girovago. Come da tradizione, fu accolto a dibattere con un monaco. Il monaco illuminato quel giorno era malato e chiese a suo fratello di andare a sostenere un dibattito con il nomade. Tuttavia doveva eloquire in silenzio. Con il linguaggio dei gesti.  I due andarono nel tempio ed iniziarono il loro dibattito.

Il dibattito “illuminato” col girovago

Dopo poco, il girovago si rivolse, con fare affannato al monaco malato. “Tuo fratello ha una mente sublime. Mi ha battuto”. La cosa stupì il vecchio illuminato. “Dimmi figliuolo, di cosa avete discusso”. Il girovago, quasi avesse incontrato il Buddha in persona, disse: “In primis ho alzato un dito. Volevo rappresentare Buddha l’illuminato. Suo fratello ha alzato due dita ovvero Buddha ed il suo insegnamento. Poco dopo ho alzato tre dita. Volevo rappresentare Buddha, il suo insegnamento ed i suoi seguaci. Tutti e tre in armonia. A questo punto mi ha mostrato il pugno chiuso in segno di affermazione. Affermava che tutti e tre erano il frutto di una sola realizzazione. A quel punto mi sono alzato, sconfitto, consapevole di aver incontrato l’illuminato. Non merito di restare!”. Detto questo, andò via.

Il monaco “principiante” e la sua versione sul dialogo

Poco dopo, arrivò correndo il monaco sciocco. “Dov’è quel tipo?” Chiosò. “E’andato via”, affermo il vecchio monaco. “Hai vinto il dibattito. Complimenti”.  “Non ho vinto nessun dibattito. Voglio solo picchiare quel tipo”. Il monaco allorchè chiese la motivazione di quest’affermazione. Il monaco più giovane disse: “Appena mi ha visto, ha alzato un dito insultandomi che ho un occhio solo. Non ho voluto dir nulla per non turbare la serenità che si era creata. Ho alzato due dita, congratulanandomi che ne avesse due. Non contento il girovago ha continuato ad insultarmi. Ha alzato tre dita annuendo che avevamo tre occhi in due. A quel punto non ci ho visto più ed ho alzato il pugno per picchiarlo ed è scappato via”.

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